Antonio Fontanesi   (Pagine 34 )      Fonte : Catalogo del Museo d'Arte Moderna, Torino - 1927

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\fs24 Fra le moltissime opere di Antonio Fontanesi che sono in questa Galleria, a La Quiete D \'e8 forse quella che il pubblico ammira maggiormente. \par Non \'e8 difficile indovinare il perch\'e9 di tale predile- zione. A differenza di gran parte degli altri paesaggi Fontasiesiani, e La Quiete n \'e8 eseguita con quel tanto di fedelt\'e0 nella riproduzione della natura che non di- sgusta il pubblico e non si oppone al supremo canone della sua critica. Ancor oggi, come nell'ottocento, non si prorompe davanti a un quadro in un : \'e8 bello, se prima non si \'e8 detto e pensato: sembra vero. In se- condo luogo, il pubblico vuol cogliere nel quadro, senza studio e senza fatica, un significato sentimentale, un senso letterario qualunque. E La Quiete D si pre- senta con un motivo idillico quanto mai semplice, chiaro ed aggraziato. A ben guardare, sono le stesse qualit\'e0 per cui nell'800 andavano famose tante opere che oggi non vivono pi\'f9: nell'esecuzione l'imitazione della natura; nel soggetto un senso letterario e mo- rale. Tramontato il gusto per i temi storici, tramonta- rono i quadri storici. Poich\'e8 il gusto per i temi idillici, pi\'f9 facili di comprensione, non \'e8 ancora passato, i quadri idillici sono ancora ammirati. \par Ma rifacciamoci al quadro, all'esecuzione. Vi ave\'acvamo trovato degli elementi naturalistici. Consideria\'acmoli: vediamo se essi sono essenziali o secondari; se sussistono brutalmente, indifferentemente, o se sono trasfigurati, se uno di essi predomina in modo da incarnare l'idillio, l'elegia o qualsiasi altra ispirazione che sia stata quella di Fontanesi. \par Il primo piano erboso, il ruscello, gli alberi tutt'in\'actorno, il roccione rii secondo piano a destra, tutti questi elementi occupano gran parte del quadro e sono in penombra. Tina penombra uniforme, discretamente illuminata, in cui i colori si possono raccogliere e in\'actonare, \emdash le forme, senza punto sfaldarsi, fondersi coi colori e alleggerirsi.\bullet Considerate quel poco di cielo che si apre in fondo tra il verde : \'e8 un pezzo di pittura a tinte amate, diffuse, luminosissime. Ma guardatelo nell'insieme del quadro: ogni effetto di luce scompare. Come mai? L'ombra dei primi piani \'e8 ancor troppo chiara, i colori troppo vivaci. Perch\'e8 quel pezzo di cielo conservasse la sua luminosit\'e0, occorreva che i primi piani fossero in un'ombra c\'f9pa e variata, e i colori vi perdessero la qualit\'e0, le linee la consistenza, le cose il contorno. \par Insomma, l'impostazione de a La Quiete n \'e8 essen\'aczialmente tonale: i colori vi si dovrebbero accordare nell'ombra. \par Ed \'e8 precisamente quello che non succede. Per av\'acvedersene, non occorre possedere una sensibilit\'e0 colori\'acstica troppo raffinata. Il verde di quell'erba a sinistra stride col resto del quadro anche per le retine meno de\'aclicate. Non parliamo di tutta la parte destra, sovrab\'acbondante nel taglio, opaca nell'esecuzione. L'opera in\'actera \'e8 dipinta disordinatamente: gli alberi e le fra\'acsche si affastellano, si sovrappongono; sono l\'ec come \par erano in realt\'e0. Non c'\'e8 un accordo di colori che vibri, non si sente circolare l'atmosfera. \par \'c8 probabile che Fontanesi abbia pensato, prima di dipingere a La Quiete n, a qualche paesista francese, specialmente a Corot (1). Prendiamo dunque un Co\'acrot; anzi: un Corot che Fontanesi abbia potuto vedere prima di dipingere a La Quiete a (2). L'impianto \'e8 il medesimo: i primi piani raccolti in penombra; in fondo, tra gli alberi, un breve spazio di cielo; qua e l\'e0 poche figurine, pastori, pastorelle, ninfe. Ma quale differenza nei risultati'? In Corot tutto \'e8 legato, tutto \'e8 subordinato al rapporto di alcuni toni. La cavit\'e0 degli alberi li produce, li fonde, li accorda. L'ombra elimina tutti gli elementi inutili, trasforma il resto in risonanze pure ed armoniose. \par Cos\'ec Corot esauriva la soave serenit\'e0 del proprio sen\'actire nella delicatissima armonia di alcune tonalit\'e0 sfu\'acmate. \par Ma Fontanesi non poteva far questo: non ch'egli fosse privo di sensibilit\'e0 del colore; soltanto, la sensi\'acbilit\'e0 del colore non era per lui l'essenziale; egli non poteva, come Corot, costruire tutto un quadro su di un rapporto tonale. \par Esistono, nella sala fontanesi di questa Galleria, alcuni studi in cui l'impostazione della luce e dell'om\'acbra \'e8 assoluta, la svalutazione degli altri elementi por\'actata alle estreme conseguenze. a La Quiete a rivelava una tendenza esclusivamente tonale, questi studi una tendenza esclusivamente luministica: difficilmente si immaginerebbero delle opere pi\'f9 opposte. Abbiamo visto il fallimento de La Quiete D. Forse che, per la legge dei contrari, questi studi rappresenterebbero il punto d'arrivo della pittura Fontanesiana? \par Vediamoli. Furono dipinti dal Fontanesi nell'ul\'actima parte della sua vita. Sono, per esempio, dei tra\'acmonti infuocati, col sole basso, di fronte, in mezzo al quadro: nei primi piani, delle acque, dei canneti; oppure : sempre un cielo di tramonto, e, da un lato, in secondo piano, una massa confusa di verzura che oscura tutto il primo piano_ Si vuol cogliere un ef\'acfetto di luce. E palese lo sforzo. I colori sono arsi, sminuzzati, volatilizzati nelle luci; quasi spenti e bru\'acciati nelle ombre. \par Carminio e giallo, chiari e gessosi, insistono nei cieli; bitume e bluastro, terrosi e sporchi, nelle ombre dei primi piani. Ora abbiamo impasti di spessore spropo\'acsitato; ora sfregature, raschiature fino al legno. \par Questa materia scarnificata, privata violentemente del suo valore qualitativo, gettata sulla tavola con di\'acsegnale abbondanza, toglie ai colori ogni possibilit\'e0 di piacere per loro stessi. \par Ci\'f2 posto, il carminio e il bitume non dovrebbero pi\'f9 valere come colori, ma, quasi fiamme e carboni, vibrare nello spazio, immateriarsi di luce e di ombra. \par Invece la materia resta sorda, la pasta ricade pe\'acsantemente, confusamente, senza bagliore e senza te\'acnebre, disgregata ed abbandonata su di un solo piano. \par Fontanesi ha sconvolto la realt\'e0, l'ha mescolata biz\'aczarramente, ma non vi ha soffiato sopra, non le ha infuso un'anima. \par Ci resta un'amalgama inerte: quasi l'impasto di alcuni elementi che il chimico abbia tentato invano di combinare. \par Sembra che l'artista, invece di trarre dal proprio animo un fantasma, e contemplarlo e abbandonarglisi, abbia voluto raggiungere un dato effetto, risolvere di proposito un dato problema; e abbia lasciato questi tramonti allo stadio di esercitazioni tecniche. \par Difatti il sentimento \'e8 l'origine, e non l'ispirazione di queste 'opere. Esso sconvolge la realt\'e0 (lo prova l'e\'acsasperata ricerca luministica che abbiamo esaminato); ma \'e8 ancora vago, informe, impuro; non cola nello stile; non ha la calma e la chiarezza necessaria a ri\'accreare una nuova realt\'e0, quella dell'opera d'arte. \par Abbiamo gia detto che a La Quiete n \'e8 l'opera di Fontanesi che piace di pi\'f9 al grosso del pubblico, e abbiamo detto perch\'e8. Ma c'\'e8 un altro pubblico, di cui non abbiamo ancora parlato: il piccolo pubblico, gl'intellettuali, le persone colte. \par Anche costoro hanno, tra tante opere di Fontanesi raccolte in questa Galleria, una predilezione: i l'A\'acprile n. In questo quadro infatti, scomparsa ogni trac\'accia di esecuzione naturalistica, scompare la condizione necessaria all'entusiasmo del grosso pubblico. Qui ci\'f2 \par che piace \'e8 precisamente l'opposto del realismo. I raf- finati ammirano t l'Aprile D come qualcosa di trascen- dente, di esclusivamente spirituale. Per esempio, essi dicono: \emdash Quell'albero si vestir\'e0 di foglie; quell'al- bero sente la linfa pulsare in s\'e8; la primavera \'e8 vi- cina: quell'albero ne gode. \emdash E cos\'ec via. \par E facile avvedersi che una critica di questo genere si basa su osservazioni assolutamente gratuite. Altri potrebbe dire che quell'albero, cos\'ec nudo com'\'e8, \'e8 in- vece il segno dell'inverno, \'e8 la tristezza di quel pae- saggio. Altri affermare che i rami si torcono nel dolore, e che quell'albero \'e8 come l'anima disperata del poeta di fronte alla dolcezza della natura. Poniamo pure che lo stato d'animo di Fontanesi consista appunto in uno di questi sentimenti. La stessa diversit\'e0 delle interpretazioni sul significato di quell'albero porta come conclusione che queste ideologie sono tutte_ egual- mente illegittime perch\'e8 non sono provate con l'esame di qualcosa che sia strettamente inerente all'opera. \par Noi non dobbiamo cercare di sapere che cosa ha fatto o che cosa far\'e0 quell'albero, e se esso si trova pi\'f9 in primavera che in inverno: ma dimenticare, col titolo a Aprile H, tutta la letteratura che concerne quest'o- pera; e vedere piuttosto se essa ci dice qualcosa da s\'e8, se come pittura, come creazione viva \'e8 essa stessa la rappresentazione di uno stato d'animo, indipendente- mente da ogni nostra esperienza. \par Cominciamo dal famoso albero. Chiediamoci, sul suo conto, le cose pi\'f9 semplici e primordiali. Che cosa ci st\'e0 a fare, quell'albero, in quel quadro? Qual'\'e8 il suo rapporto visivo col resto della composizione? \par Sentite che cosa diceva Massimo D'Azeglio nel ca- pitolo XVIII dei Ricordi : E; facile il procurare lo sfondo ad un lontano vaporoso e cilestrino con un \par grosso albero nero che gli si metta davanti, all'uso dei manieristi D. \par Non c'\'e8 dubbio. Il caso \'e8 questo. Si vuoi raggiun\'acgere un effetto di spazio. Sia data una-pianura aperta, cielo e terra. Come far sentire la lontananza dell'oriz\'aczonte, lo spazio immenso che decorre dalla terra al cielo, dai primi agli ultimi piani? Si sfumi lo sfondo in un vaporoso e cilestrino chiarissimo; si metta in primo piano un albero grosso e nero. Lo spazio non sar\'e0 ottenuto mediante una prospettiva solida, una costruzione formale. Lo spazio sar\'e0 ottenuto mediante un semplice contrasto di luce e di ombra. L'ombra sia in primo piano, intensa ed uniforme: in essa scom\'acpaiano i rilievi della forma e le variazioni del colore. La luce sia in lontananza: analogamente le forme si perdano nel vaporoso, i colori nel cilestrino chiaro,. eguale e diffuso (1). \par Avevamo gi\'e0 visto, in certi studi di tramonto, che Fontanesi non era fatto per un luminismo cos\'ec assoluto: l'ispirazione rimaneva estranea a un procedimento di questo genere: lo stile assumeva, anche nei particolari, un dhe di vuoto e pesante. Forse che nell'a Aprile non \'e8 pi\'f9 la stessa cosa? \par Guardiamolo, una buona volta, questo i Aprile a,. \par tutto intero: e dimentichiamo per un istante ogni ri\'acflessione sulla natura e sull'ufficio dell'albero. \par (1) Ancora si badi che i primi piani occupino, nella tela, una minor porzione dei secondi piani e dello sfondo: l'ombra sia in molta minor quantit\'e0 della luce. Un solo albero vicino all'os\'acservatore \'e8 adattissimo allo scopo. Ch\'e8 se i primi piani predo\'acminassero sullo sfondo, le parti'scure sulle parti chiare, l'ef- . fette non sarebbe pi\'f9 essenzialmente di spazio, ma di luce. In, ogni caso, il procedimento non muta: rester\'e0 sempre una decisiva \par Una pianura aperta. Poca terra e molto cielo. Terra e cielo sfumati, digradanti nella luce, dall'ombra alla luce, verso il punto pi\'f9 chiaro. L'orizzonte \'e8 il punto pi\'f9 chiaro. L'orizzonte \'e8 visibile soltanto nella parte centrale del quadro; perch\'e8 a destra si leva una col\'aclina, a sinistra una massa confusa di alberi e cespugli. Collina e cespugli sono gradatamente pi\'f9 oscuri del\'acl'orizzonte. Cos\'ec, mano mano che si procede ai lati, so\'acpra, sotto, a destra e a sinistra, la terra e il cielo si oscurano. Il cielo fa volta. La terra sfonda nell'in\'acfinito. Lo sfumare lento e variatissimo della luce genera un infinito numero di chiari e di scuri che si susse\'acguono a spazi sempre pi\'f9 larghi quanto pi\'f9 lontani dal centro luminoso del quadro. T7 come se i solchi brillassero e si spegnessero a volta a volta; come se le glebe tremassero; e inducessero il senso di infinite vi\'acbrazioni accordate e crescenti, delicatissime ed imma\'acteriali, un che di etereo e diafano: il senso dell'atmo\'acsfera. Ma l'atmosfera dell' a Aprile n ha qualcosa di particolarmente suo ed essenziale: essa \'e8 estatica e tre\'acmante, languida e severa; in lei \'e8 fissata come per un incanto senza fine la sublime delicatezza degli attimi incerti. Tutto questo non potrebbe esistere senza una finezza estrema in quelle vibrazioni, in quei successivi rapporti di chiaro e di scuro che producono appunto l'atmosfera. Poieh\'e8 \'e8 evidente che l'atmosfera del\'acl'a Aprile n, cos\'ec come ho tentato di renderla, \'e8 una cosa sola con quei rapporti e con quelle vibrazioni. Ve\'acdiamo dunque che cos'hanno di tanto speciale questi elementi visivi. \par Avviciniamoci al quadro; Osserviamo un particolare. Potrei prendere una delle figurine, un gruppetto di animali, una zolla di terra, un pezzo di cielo : la scelta \'e8 indifferente. Fermiamoci, per esempio, su quell'al \par hero di destra, in secondo piano: \'e8 un pesco, mi pare. Dico che \'e8 un pesco perch\'e8 ha dei fiori vermigli chiari. La luce batte sul pesco da sinistra a destra, dal fondo in avanti. Ne consegue che fiori e rami sono illuminati in questo senso : e ciascun fiore, ciascun ramo rende ombra nel senso opposto. Insomma, abbiamo anche qui il solito accendersi e spegnersi, il solito digradare in\'actermittente di luce e di ombra. Ma \'e8 proprio solamente un effetto di luce, cotesto variare? Eh ! no, anzi: sup\'acponete di ritagliare il pesco dell'a Aprile n e di farne un quadrettino: gran parte della luce e dell'ombra scompare, vi resta un soavissimo effetto tonale, un rapporto di colori che s'illuminano e si ombrano, \'e8 vero, ma che restano sempre colori. Rimettiamo il pesco al suo posto: esso guadagna in luce e perde in tono; ma il soavissimo rapporto rosa-bruno resta e non stona nel\'acla generale armonia dell'opera: sembra che la luce si franga, si divida, si sminuzzi via via fino a cedere la sua uniforme qualit\'e0 alla variata dolcezza del colore. Riabbracciamo d'un solo sguardo tutto il quadro: ri\'acvedremo dovunque, e specialmente nei secondi piani, come se uscissero dall'ombra assoluta incontro all'as\'acsoluta luce, soavi delicati commossi, i rapporti dei co\'aclori. E allora cap\'ed?emo perch\'e8 essi sono cos\'ec esangui, cos\'ec tremanti, cos\'ec incorporei: essi vivono in un limite. Spazio, atmosfera, linea, massa, colore, nessuno di que\'acsti elementi \'e8 completamente disprezzato dalla luce: tutto il buono dell'a Aprile \'bb, tutta l'arte di Antonio Fontanesi st\'e0 nel conseguimento di questo miracoloso equilibrio. \par Ve ne avvedete quindo ritornate a guardare l'al\'acbero nero, dove la luce e l'ombra trovano invece un'at\'actuazione cos\'ec violenta. L'albero, il famoso albero, che tutti gli intenditori magnificavano come il senso, il va- \par FONTANESI Antonio \par Reggio Emilia 1818 - Torino 1882. - Paesaggio. Avviato presto alla pittura nella citt\'e0 natale sotto Prospero Min- ghetti. Una delle sue prime opere \'e8 costituita da alcuni pannelli decorativi, rappresentanti paesaggi di fantasia, per il Caff\'e8 degli Svizzeri in Reggio. Nel 1848 si muove per la prima volta dalla citt\'e0 natale e si reca a Torino per partecipare alla prima guerra d'Indipendenza. Fa infatti la campagna con Garibaldi e quindi ripara a Lugano. Nel 1850 si stabilisce a- Ginevra, dove, seguendo l'esempio del Calarne e del Diday, eseguisce di commissione paesaggi ad olio, acqueforti e litografie, e si forma cos\'ec una discreta posizione finanziaria. Nel 1855, raccomandato al Troyon dall'amico Brachard di Ginevra, si reca alla fa- mosa Esposizione di Parigi, e ne riporta, secondo le pa- role del Calderini, o un rimescolamento di idee tanto pro- fondo che di colpo, al ritorno, trasforma totalmente la sua pittura o. (Vedi tuttavia, nella Nota critica, pag. 16, en- tro quali limiti valutativi debba essere contenuta questa influenza). Dal 1855 al 1865 tiene sempre studio in Gi- nevra; ma espone parecchio in Italia ed in Francia, e viaggia spesso, specialmente nell'estate, per dipingere; nel '56-'57 \'e8 in Liguria; nel '58 nel Delfinato, e vi conosce, a Cr\'e9mieu, un gruppo di artisti francesi e specialmente il Ravier, che diverr\'e0 in seguito suo amicissimo; nel '59 viene a Torino e ottiene dal Cavour di essere accettato come sottotenente nell'esercito regolare, ma, inviato a Bologna, non prende parte a nessun combattimento; dopo il '59 ritorna nel Delfinato ed infine a Ginevra; nel '61 si reca a Parigi e vi espone; il 17 ottobre dello stesso anno, dopo aver passato l'estate nel Delfinato, scende a Firenze per partecipare alla prima Mostra Nazionale Italiana; ivi conosce i Macchiaioli e frequenta il Caff\'e8 Michelangelo; nel '62, '63, '64 non si muove da Ginevra e dal Delfinato. Verso la fine del '65, essendo ormai troppo noto a Ginevra per trarre dalle proprie opere un discreto profitto, si reca a Londra. Quivi lo impressionano, fra gli antichi, Rem- brandt, e fra i moderni Turner, ed eseguisce una serie di eliografie ed acqueforti raccolte in un album col titolo: o Sketches of London o. Non trova tuttavia in quel sog- giorno i vantaggi materiali che egli si riprometteva, e anzi si rattrista nella solitudine e nella lontananza dalla patria. Alla fine dello stesso 1866 giunge improvvisamente a Firenze, vi apre uno studio e vi abita per tutto il '67, facendosi amicissimo del Banti e del Signorini. Malviso tuttavia da' pi\'f9 dei fiorentini, e osteggiato in un secondo tempo dallo stesso Signorini, egli chiede al Governo una cattedra di paesaggio in qualche Accademia. Nel '68 inol- trato \'e8 inviato a Lucca, ma come professore di figura. Nel '69 finalmente ottiene per mezzo del Di Bromo, che allora dirigeva l'Albertina, la cattedra di paesaggio a To- \par rimo. Da quell'anno fino al 1875 rimane a Torino, passando le vacanze estive fino al '73 nel Piemonte, a Volpiano, e quindi a Morestel, in Francia, presso il Ravier. Neppure a Torino tuttavia egli vive in quella pace che aveva spe\'acrato: l'ambiente gretto e conservatore che lo circondava non poteva non osteggiarlo continuamente. Quando dun-. que il governo gli propone di inviarlo a Tokio come inse\'acgnante di pittura presso quell'Accademia di Belle Arti, accetta; nel '76 si reca a Roma e di qui parte per il Gi\'e0p\'acpone, giungendo a Tokio nel settembre dello stesso anno. Sempre occupatissimo, poco in salute, passa in quella lon\'actana capitale tutto il '77 e gran parte del '78; finch\'e8, seriamente ammalato, \'e8 costretto a ritornare. Giunge a Torino nella seconda met\'e0. del dicembre 1878 e vi riprendo l'antico posto all'Accademia. Vive gli ultimi anni nella nostra citt\'e0 recandosi tuttavia l'estate in campagna: in Piemonte, nel Canavesano e a Cannobbio; in Francia, a Vichy e a Morestel presso il Ravier. - La sua produzione \'e8 immensa, specialmente a proposito di studi, disegni, ac\'acqueforti, fusains; ci resta quindi impossibile un completa elenco cronologico di tutte le sue opere, e un elenco dei luo\'acghi dove esse tutt'ora si trovano. Possiedono sue opere la Galleria Nazionale Moderna di Roma, la Galleria Mod. di Firenze, la Pinacoteca Reale di Torino, e moltissime altre Gallerie pubbliche e private. Grandissima parte dei suoi studi non sono n\'e8 firmati n\'e8 datati. E poich\'e8 dalla sua scuola di Torino uscirono moltissimi paesaggi che serbano l'impronta della sua maniera, e che forse in parte furono da lui corretti, resta difficilissima l'attribuzione di parec\'acchie opere che vanno sotto il suo nome. - (II volume del Calderini \'e8 la fonte principale sulla vita e sulle opere del F.). \par \par }